Critica di Anita Guadagnin, 2019

Critica  di Anita Guadagnin, 2019
 

E’ un grande piacere presentare questa mostra per me, che assieme all’amico incisore Giorgio Bonamigo ho visto in questi mesi nascere, svilupparsi, prendere forma. Ed è un piacere trovarsi ancora una volta a tu per tu con le incisioni di Gabriele Bordignon, maestro e amico, che ha fatto della calcografia e, in particolare delle tecniche dell’acquaforte e dell’acquatinta, la sua prediletta modalità di comunicazione artistica. L’incisione è stata per Gabriele un incontro felice, la scoperta di una tecnica antica,  complessa, a volte anche difficile, ma stimolante, a cui lui si è accostato imparando, come una volta, in laboratorio, fra torchio, acidi ed inchiostri, dai maestri, Bernardi e Marcon, che spesso lui ricorda con gratitudine ed affetto. Un incisore, quando inizia una lastra, si trova diviso fra l’urgenza di comunicare un contenuto, un messaggio, e la necessità di farlo intraprendendo un percorso di cui l’esito finale, ancor più che in altre tecniche artistiche, non è assolutamente scontato. Si può dire che ogni lastra, per un incisore, è un po’ una scommessa e una sfida con se stesso.  Una scommessa che tante volte Gabriele ha deciso di affrontare, inizialmente facendo riferimento alle modalità espressive dei suoi maestri, attingendo suggestioni da altri autori, raccogliendo idee nell’incontro con altre opere e altri artisti incontrati nei numerosi concorsi a cui ha partecipato – e non sono fra l’altro mancati i premi, i riconoscimenti e le menzioni, sin dai primi anni della sua produzione. Col tempo, poi, provando e sperimentando, l’artista è arrivato ad esprimere il suo mondo con un linguaggio sempre più personale, capace di contraddistinguerlo e renderlo immediatamente riconoscibile nel panorama della grafica contemporanea nazionale. Con tale linguaggio egli ha affrontato diversi temi nel corso degli anni, come si può vedere nella selezione delle opere qui presentate: paesaggi agricoli e completamente naturali, iconografie sacre, la figura umana anche nella forma di alcuni penetranti ritratti, benchè un leit motiv ritorni in maniera ricorsiva e ora in modo predominante nella sua produzione, ovvero il rapporto fra l’uomo, il suo lavoro e l’ambiente. Sono nate così le incisioni più mature e probabilmente le più riuscite, quelle che rappresentano strutture urbane, vecchi impianti industriali in disuso, edifici di travi e vetrate imponenti, strade, ferrovie e cavalcavia che si intrecciano, scorrono e si perdono in lontananza, grattacieli che emergono dalle campiture più scure e che svettano nel cielo, da cui fuoriescono anche macchine, treni, figure umane colte di spalle e che procedono, sole o a gruppi, chissà per dove. Sono paesaggi del nostro tempo ma anche luoghi fuori del tempo, ideati e sospesi nel mondo dell’artista che li ha concepiti, solitari ma ancora carichi di quella umanità e di quel sudore che li ha generati, permeati di una pensosa concentrazione, quella dell’incisore intento a plasmarli e a darvi una forma tutta originale, fatta di segni più o meno pesanti,  raffinati intrecci di campiture che dispiegano tutti i toni del grigio, spazi in cui il colore, della particolare consistenza pulviscolare data solo dall’uso della colofonia per l’acquatinta, assieme alla linea concorre a creare le forme e i volumi.Dietro tutto questo stanno la cura, la pazienza, la dedizione, le scelte difficili, la scommessa appunto dell’incisore. Stanno il gioco e il mondo di Gabriele, che ha deciso, con questo suo stile così personale, elegante ma anche potente, di lasciare il suo peculiare segno e donarlo a noi fruitori delle sue opere, con la silenziosa  e misurata originalità che da sempre lo contraddistinguono.